venerdì 30 novembre 2012

Socrate docet

"So di non sapere."

Questa frase mi spaventa assai.
Essa è una continua certezza, un dogma, una verità inconfutabile ed inoppugnabile quanto la consapevolezza della fugacità delle nostre vite su questo mondo, e la spiazzante idea di morte che ogni tanto si fa strada in noi.
No, non c'è tempo su questa terra per soddisfare in pieno la travolgente curiosità che mi anima riguardo ogni briciolo infinitesimale di esistenza.
Se ogni giorno fosse votato alla conoscenza, non ci sarebbe tempo per la vita. E per quegli intervalli di vita, che non sono altro che gesti meccanici e quasi inutili ripetuti da routine, ma che danno un certo ordine alla nostra esistenza, di cui ci lamentiamo di continuo ma senza i quali ci sentiremmo persi.
Rifare il letto.
Piegare le lenzuola.
Spalmarsi la crema idratante per cosce.
Mettere le scarpe fuori al balcone.
Guardare il telefilm delle 20.
Lavare i piatti dopo pranzo.
Scrivere su una pagina virtuale, tra miliardi di pagine esistenti. (e già)
Spazzolare il gatto.
Attaccare i punti del latte raccolti durante l'anno.
Lavare quel lampadario impolverato.
Lavare le persiane.
Stirare le mutande (no, questa spero che possiate evitarla anche voi)


Ecco, l'amarezza infinita delle nostre vite consiste proprio in ciò: la sprechiamo con tanta facilità che nemmeno abbiamo l'accortezza di accorgercene.
Questo è proprio ciò che non vogliamo sapere, e che occultiamo di continuo.





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